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"Regalami un Sorriso” è un progetto che ha avuto una fase “sperimentale” nel 2016 per volontà delle due associazioni che operano in oncologia “Fondazione Sandro Pitigliani” “Progetto Aurora Donna", Il progetto pilota è stato condotto all’interrno della scuola media statale Salvemini La Pira di Montemurlo con il patrocinio del Dipartimento Oncologico e della allora Azienda ASL 4.
Noi ci proponiamo di riprendere il progetto e, adeguandolo con “nuovo e altro nome” e con un aggiornamento metodologico, ripresentarlo alle scuole medie; abbiamo pensato in questa fase di rivolgerlo a questa precisa fascia di età, riservandoci in futuro e dopo questa esperienza la possibilità di allargarlo anche a classi superiori.
Percorso di Sensibilizzazione e di Psico-Educazione sulla Malattia Oncologica e sulle Emozioni
“Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro”.
Italo Calvino
Si può parlare di una malattia come il tumore ai ragazzi? Si può parlare con loro di paura, ansia, rabbia, tristezza, coraggio e speranza?
Ebbene, noi crediamo non solo che sia possibile ma che sia anche utile e forse doveroso. Ancora oggi, infatti, il cancro è una patologia associata quasi esclusivamente a significati di sofferenza, morte e perdita; spesso si fa persino fatica a pronunciarne il nome, tanto che si preferisce utilizzare dei giri di parole come “un malaccio” o “un male poco buono”.
Si può paragonare la paura del cancro a quella delle guerre, tema altrettanto attuale e scottante. La guerra, infatti, è nella sua essenza psichica un dolore insensato: non c’è niente che possa davvero giustificarne la violenza e la brutalità; parimenti, alla domanda “Perché mi sono ammalato?” nessuno può dare davvero una risposta. Lottare contro il cancro è un po’ come andare in battaglia: si tratta di confrontarsi giornalmente con un agguerrito nemico, di affrontare - oltre alle conseguenze della patologia - anche quello che un tempo veniva percepito e vissuto come normale e che, con la malattia, assume un peso e un significato diversi. Il solo camminare per strada, portando dentro e fuori i segni e le conseguenze di una chemioterapia o di un intervento chirurgico, richiede forza e determinazione. Trattandosi a tutti gli effetti di “una lotta per la sopravvivenza” appare estremamente utile avere dalla nostra degli ‘alleati’: un adeguato supporto sociale e familiare, nonché - ovviamente - delle adeguate cure.
Molto spesso però, sebbene statisticamente il tumore sia una delle patologie più diffuse e molte famiglie si trovino a far fronte a questa difficile e dolorosa esperienza, ancora oggi alla paura e all’angoscia per quanto sta accadendo si aggiungono il rifiuto, il timore, la vergogna e/o la solitudine legata all’impossibilità di parlarne liberamente con i propri cari e amici. La persona malata si ritrova così ad affrontare questo momento critico - estremamente complesso sia da un punto di vista fisico che psicologico - da sola, senza poter davvero contare sul sostegno dei familiari e del contesto socio-amicale. Conseguentemente ai dati epidemiologici, si investe molto in ambito di ricerca, sperimentazione scientifica, informazione, sensibilizzazione e prevenzione; ci troviamo così di fronte ad una fortissima esposizione mediatica su giornali e tv, con interviste in cui personaggi illustri raccontano la propria battaglia contro la malattia e grandi professori spiegano i progressi delle terapie. Ne è un esempio il Dipartimento Oncologico di Prato, negli ultimi anni al centro di molti servizi televisivi e giornalistici proprio per l’innovazione delle terapie mediche e la sperimentazione farmacologica all’avanguardia. Tanta strada è stata fatta anche per sensibilizzare la popolazione sugli aspetti psicologici ed emotivi che un evento critico come la malattia comporta.; non a caso all’interno del Dipartimento c’è un Ambulatorio di Psiconcologia per il Supporto Psicologico di pazienti e familiari.
Eppure a livello sociale, e soprattutto nel piccolo nucleo familiare, vale ancora la “congiura del silenzio”. Ma quando qualcuno in famiglia si ammala ne possiamo parlare insieme? I figli, soprattutto se piccoli, possono essere fatti partecipi di un momento così delicato? Davvero non dire è il miglior modo per proteggerLi? O forse è solo una maniera per proteggerCi? Quando in casa si alza il muro del silenzio aumenta la paura, la solitudine, la tristezza, il non capire. E i bambini e i ragazzi riempiono il vuoto dell’informazione che manca attraverso la fantasia, spesso più spaventosa della realtà basata sulla verità.
Noi crediamo invece che qualsiasi verità possa essere raccontata in mille maniere diverse, utilizzando parole, carezze, gesti, storie, musica, immagini, colori e altro ancora. Raccontare e raccontarsi è un modo per diventare protagonisti di quello che ci succede, condividendo la nostra storia, per quanto difficile e “in salita”, con chi ci sta accanto. Dobbiamo opporci alla cultura del silenzio, della negazione, dell’isolamento per consentire all’ammalato e ai suoi cari di non sentirsi più soli.
D’altronde, è sempre più evidente come un’altra epidemia, pericolosa ma invisibile, si stia lentamente diffondendo nel mondo: la solitudine, che colpisce ad ogni età. Ci si può convivere, come si fa con una malattia cronica, ma è faticoso e doloroso. La solitudine non è di per sé una patologia, ma per gli effetti che provoca non sembra neanche qualcosa di tanto diverso perché accorcia la vita e ne compromette la qualità. Nel mondo ci sono sempre più persone sole ed è altamente probabile che il loro numero sia aumentato notevolmente dopo la pandemia; sicuramente i malati oncologici sono tra quelli che hanno avvertito un maggior senso di isolamento e di vuoto relazionale intorno a sé. Come i nostri giovani, del resto. Considerando le conseguenze della solitudine sulla salute fisica, mentale e sociale, occorre affrontare questo tema come un importante problema di salute pubblica.
Promuovere quindi una cultura basata sulla solidarietà, sulla cooperazione, sulla speranza, sul coraggio, sulla gentilezza, sulla compassione è sicuramente tra i nostri propositi; questo è possibile soltanto sviluppando e potenziando l’intelligenza emotiva, a partire proprio dai ragazzi, per iniziare a piantare in loro il seme della consapevolezza. Essere consapevoli significa essere capaci di identificare le proprie reazioni emotive, riconoscere i pulsanti caldi che le scatenano e l’effetto che tali emozioni possono avere sui propri comportamenti. La consapevolezza ti permette di non essere vittima delle emozioni e di poter avere maggior controllo sulle situazioni. Chi possiede buone capacità di autocontrollo tende ad essere flessibile, ad adattarsi bene ai cambiamenti ed è anche capace di gestire conflitti e attenuare tensioni. Inoltre saper gestire le proprie emozioni significa anche sviluppare un approccio più positivo nei confronti della vita. Crescendo impariamo a memoria la data della scoperta dell’America ma raramente capita che ci venga spiegato come superare una paura o i propri disagi interni.
E poi i ragazzi si perdono nel web, si affidano ad una sbronza con gli amici per superare una delusione o si travestono da bulli per scaricare paura, rabbia e frustrazione; si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria fuga dalle emozioni che, anziché liberarci, ci condanna alla continua latitanza da noi stessi. Essere "emotivamente intelligenti" rappresenta al contrario una preziosa risorsa; ovviamente, non vuol dire essere sempre felici ma accettare tutte le emozioni dentro di noi, imparando a cavalcarle per vivere al meglio, soprattutto nei momenti più critici.
Va da sé quanto bene si presti un’esperienza densa come la malattia oncologica a stimolare una riflessione sul mondo delle emozioni (nostre e degli altri), per abitarlo più consapevolmente, alleggerendosi un po’ da timori o angosce. Del resto, come affermava Marie Curie "Niente nella vita va temuto: deve essere solamente compreso".
L’idea quindi è quella di “addestrare” i ragazzi alla cultura della consapevolezza, della solidarietà, del coraggio e della speranza e, nel contempo, aiutare a diffondere, partendo anche dalla scuola, un nuovo sapere sul cancro, improntato sui bisogni emotivi del paziente oltre che sulle necessità e sulle contingenze della malattia.
La Fondazione Sandro Pitigliani e l’Associazione Progetto Aurora Donna sono due organizzazioni di volontariato che operano all’interno del Dipartimento Oncologico di Prato per fornire sostegno al paziente oncologico e ai suoi cari. Pur diversificandosi per modalità di intervento, agiscono con intenti e azioni perfettamente integrati tra loro e sempre rivolti al benessere della persona malata e dei suoi familiari. Negli anni numerosi sono stati i progetti che hanno visto muoversi congiuntamente le due associazioni; tra i tanti ricordiamo il progetto pilota “Regalami un Sorriso”, condotto nell’a.s. 2007/2008 all’interno della scuola media statale Salvemini La Pira di Montemurlo (con il patrocinio del Dipartimento Oncologico e della allora Azienda ASL 4), negli anni riproposto in altre scuole medie statali del territorio pratese.
Il nostro proposito oggi è riprendere il progetto capostipite, adeguandolo al momento attuale (anche alla luce dell’ultimo evento pandemico mondiale) e ampliandolo con una sezione dedicata allo sviluppo e al potenziamento della consapevolezza emotiva nei ragazzi delle scuole medie. L’ idea è di poter in futuro allargare questa esperienza anche ai ragazzi delle scuole superiori e, ambiziosamente ma ragionevolmente, anche ai bambini delle elementari.
Con questo progetto, quindi, noi chiediamo attualmente la collaborazione di alcune scuole medie di Prato e provincia per far entrare in classe un tema delicato come la malattia, partendo da uno sguardo di speranza.
Sintetizzando, vogliamo rendere un tema ingombrante tanto quanto un elefante più leggero (per l’appunto in monopattino), senza banalizzare ma cercando di cogliere la luce anche quando sembra tutto buio.
La malattia rappresenta una brusca interruzione del percorso esistenziale (a volte, infatti, è necessario riprogettare e ridisegnare la propria vita) ma può rappresentare anche una grande opportunità di cambiamento, un’occasione di riflessione sulla nostra esistenza e su quelle che da quel momento in poi diventeranno le nostre priorità: un bilancio esistenziale che è assolutamente possibile chiudere in attivo.
I ragazzi coinvolti nel progetto avranno la possibilità di ampliare le loro conoscenze su di un tema così attuale e complesso ma anche l’opportunità di sviluppare e potenziare la loro intelligenza emotiva, facendo una prima concreta esperienza di quelle che potrebbero essere delle strategie utili per la gestione dello stress (e che potranno poi essere esportate dai medesimi anche nella loro vita quotidiana, aldilà della malattia oncologica).
Il progetto “L’ELEFANTE IN MONOPATTINO” ha come obiettivo quello di sensibilizzare e coinvolgere la popolazione più giovane attraverso il compito di creare, in una qualsiasi forma artistica, gli “arredi” per i locali del Dipartimento Oncologico: stampe, quadri, poesie e quanto altro stimola la fantasia. Parliamo di speranza, crescita, cambiamento, paura, incertezza, confusione, amore, vita, condivisione, solidarietà e sostegno sociale attraverso il colore, le immagini, le parole e la musica.
A tal proposito sono stati pensati tre diversi percorsi, con la volontà di lasciare ai ragazzi la massima libertà di espressione e di scelta, confidando nelle loro grandi potenzialità e sorprendenti risorse:
Soggetti proponenti
Fondazione Sandro Pitigliani per la Lotta contro i Tumori - Onlus e Associazione Progetto Aurora Donna.
Il progetto è stato pensato per i ragazzi delle scuole medie; in particolare per i giovani compresi in una fascia di età tra gli 11 e i 14 anni che, a differenza dei bimbi più piccoli, sono – spesso loro malgrado – potenzialmente più esposti alle criticità della vita e la cui salute emozionale è sovente ignorata dalla società (che si occupa ‘molto’ e molto male di infanzia e di adolescenza ma molto poco del benessere emotivo dei ragazzi appartenenti a quell’età di mezzo). Sarebbe in futuro auspicabile poter esportare questo progetto anche in altri contesti (es. scuole elementari e superiori).
Dott. Chiara Barni, Psicologa, Psicoterapeuta, Mediatrice Familiare, Psiconcologa SIPO (2014-2020).
Dott. Silvia Bresci, Psicologa, Specialista in Sessuologia Clinica, Istruttrice Mindfulness.
Criteri di adesione
Il percorso è rivolto ad un massimo di due scuole del territorio pratese. Il lavoro verrà effettuato su un massimo di due classi per scuola (preferibilmente classi II).
Metodologia
Il presente progetto si sviluppa in 4 fasi:
Un secondo incontro con le psicologhe - Tempo stimato 2h.
Argomenti trattati: la malattia oncologica (Che cos’è il cancro? Fattori di rischio e fattori di protezione, Le terapie, Cos’è il Dipartimento Oncologico e quali sono le attività? Le implicazioni emotive e relazionali, Cosa succede quando qualcuno in famiglia si ammala?, Il ruolo dello Psicologo in Oncologia, Una storia di malattia e speranza).
Gli incontri saranno tenuti in co-presenza per contenere meglio i bisogni della classe.
Lasceremo per i ragazzi una bibliografia pensata appositamente per la loro età, che potranno utilizzare per farsi ispirare nelle loro creazioni artistiche.
Data la delicatezza dei temi trattati, ogni informazione sarà fornita tenendo conto dell’età dei ragazzi ed in modo tale da lasciare loro possibilità di “contenimento emotivo”, qualora dovessero emergere bisogni personali. Riteniamo indispensabile affrontare le tematiche in modo leggero, utilizzando anche forme comunicative quali l’ironia ed il gioco. Al termine di ogni incontro sarà lasciata in aula una “scatola dei pensieri” dove i ragazzi potranno riporre in forma anonima domande e commenti sull’argomento.
Realizzazione in classe dei percorsi (compatibilmente con il programma previsto dal piano di studi). Gli Insegnanti realizzeranno successivamente un lavoro d’aula con i tre percorsi proposti: percorso IMMAGINI e COLORI, percorso PAROLE, percorso MUSICA.
L’obiettivo è quello di elaborare le tematiche affrontate con le psicologhe utilizzando la forma artistica (disegni, colori, quadri, musica, poesie…e tutto quello che stimola la fantasia). La finalità è sempre quella di regalare un sorriso, un messaggio di vita, speranza, solidarietà, attraverso lavori che poi saranno utilizzati nell’ambito delle varie iniziative delle Associazioni proponenti e nei locali del Dipartimento di Oncologia. Si prevede la collaborazione attiva dei Docenti di Arte, Musica e Lettere.
Chiusura del progetto: ritiro dei lavori e riflessioni conclusive. Tempo stimato:1h.
I tempi delle 4 fasi saranno concordati in modo più preciso e dettagliato insieme alla scuola secondo disponibilità e in modo da non interferire col curriculum di studio.
Le psicologhe saranno presenti in classe durante tutte le fasi del processo tranne in quella “operativa” (3); si renderanno altresì disponibili per chiarimenti e approfondimenti. Parte dei lavori verranno esposti direttamente nei locali del Dipartimento Oncologico (stanza psicologia, stanza riunioni, sala chemio e reparto di degenza), gli altri rimarranno in esposizione in locali pubblici scelti (librerie, biblioteche), dove potranno essere visionati dal pubblico.
Per il lavoro in classe, gli Insegnanti sceglieranno, a loro discrezione, il materiale da utilizzare (colori, cartoncini, stoffe…).